Angelo Luca Tacchinardi intervista: opere artigianali uniche, il dialogo tra arte e design

Angelo Luca Tacchinardi intervista: abbiamo incontrato ed intervistato l’architetto milanese, che crea pezzi unici dalla forte personalità, artigianalmente nel suo studio laboratorio, pensati per rendere scenografico l’ambiente, a contrasto o in sintonia. Un racconto di viaggio tra arte, architettura e design, tra luci ed installazioni, ma soprattutto alla scoperta di opere “artigianali” uniche.

Angelo Luca Tacchinardi intervista

Tra i punti fondamentali della tua filosofia progettuale da sempre c’è creatività e artigianalità. Ce ne vuoi parlare?

“Sono sempre stato spinto dalla mia manualità a costruire direttamente, fin da piccolissimo ho avuto la possibilità di utilizzare un laboratorio familiare in cui sperimentavo gli attrezzi e i materiali realizzando piccoli giocattoli. Costruire con le proprie mani appagando i propri sensi, sono convinto che sia un percorso intrinsecamente legato alla natura dell’uomo. La vera motivazione sta proprio nel piacere di inseguire l’idea mettendosi alla prova realizzandola scontrandosi con i materiali e con la funzionalità. In estrema sintesi “realizzarsi realizzando”, dar forma ai propri pensieri, vivere.”

Ma ci sono anche altri valori che guidano il tuo processo creativo, quali sono, ce li racconti?

“I miei lavori sono sempre ispirati dall’amore per la natura, sono un ecologista radicale porgo grande attenzione all’impronta dei miei comportamenti, al bene comune globale. Traggo ispirazione dagli ambienti naturali non antropizzati, spesso i miei lavori sono dei paesaggi astratti. Cerco sempre di ridare vita a materiali scartati, vecchi pezzi di legno, lamiere, pezzi di lampade, carta. Altro valore presente nel mio lavoro è il tempo, il suo scorrere che modella in autonomia, si deposita, stratifica, rende unico. Sempre sul tempo a me piace pensare i lavori, soprattutto alcuni, quelli con una lavorazione metodica e ripetitiva fatta di gesti reiterati, come dei contenitori del tempo, dei depositi in cui ho collocato una parte di me/del mio tempo.”

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Parlami dei progetti di cui sei più orgoglioso e quali sono gli elementi che maggiormente li contraddistinguono?

Angelo Luca Tacchinardi Consolle Carrozzeria

“La consolle Carrozzeria realizzata utilizzando pezzi di carrozzeria d’auto saldati con puntatrice elettrica. La struttura è autoportante, senza scheletro, i colori sono quelli originali delle auto, è stata costruita interamente a mano, è un’opera multicolore, materica e industriale, la matrice artigianale e il colore la rendono calda e domestica. La consolle è un progetto impulsivo di qui sono “orgoglioso”, in cui mi riconosco. Realizzata con materiali interamente recuperati negli sfascia carrozze, è tattile, attraente, ti pone dei quesiti, il materiale è vero, originale, autentico. Viviamo in città che sono grandi parcheggi, il nostro paesaggio esterno quotidiano è il parcheggio, per cui ho pensato ironicamente di far riflettere creando un parcheggio anche in casa”, domestico, per non sentirne la mancanza, non si sa mai… Sono molti i lavori di qui vado fiero, come le lampade DG e Avvento, la consolle Alluminio e soprattutto quelli dove sono riuscito a ridare vita a materiali scartati in maniera ironica, ludica, come la serie Carrarmatino, o i lavori fatti di legno come Travi.”

Come descriveresti il tuo stile e il tuo lavoro come architetto, designer e artigiano?

Consolle Alluminio Tacchinardi

“Sensibile, interiore, impulsivo. Il mio lavoro nasce sempre dalla mia sensibilità verso il paesaggio, la natura e i materiali. Il mio linguaggio (preferisco linguaggio a stile) è impulsivo, guidato dalla sensibilità, il lavoro nasce nella mia testa finito (come dicono alcune persone che mi conoscono “lui lo vede”), è una miscela di persone, luoghi, interiorità, è fatto soprattutto di ascolto, di attenzione. Il mio linguaggio è multimaterico, tattile, colorato, deve stimolare la fisicità, e il pensiero, deve attrarre, svegliare i sensi e allo stesso tempo essere accogliente, caldo e rilassante (come le mie luci).

I miei lavori sono molto diversi tra loro perché scaturiscono dalla sensibilità del momento ma le componenti principali sopra descritte sono comuni e questo rende il lavoro riconoscibile non per lo “stile” ma per la sensibilità che esprime.
Odio lo stile in quanto rifugio restaurativo, simbolo della nostra epoca che invece di cercare un proprio linguaggio rappresentativo adotta linguaggi passati e già affermati facendo operazioni di styling e restyling all’infinito.

Ricercare per definire un linguaggio rappresentativo proprio e coerente con la contemporaneità è faticoso e non ha un riscontro economico immediato, che pare sia la cosa più importante. Inoltre bisogna sforzarsi di interrogarsi sia sull’interno che sull’esterno, bisogna pensare, bisogna costruire un personale apparato critico che permetta la lettura di ciò che si coglie con la propria sensibilità, dobbiamo sapere chi siamo e cosa ricercare, tutti argomenti che sembra non appartengano alla contemporaneità che si nutre di linguaggi precostituiti da adottare che svuotano e omologano la nostra personalità e che svolgono funzione di supplenza delle nostre emozioni.

Questo meccanismo è geniale e agghiacciante, funziona molto bene perché è creato da noi che sappiamo che la nostra evoluzione è stata guidata dalla spasmodica ricerca di una vita sempre meno faticosa sia fisicamente che mentalmente, non pensare, non scegliere, non emozionarsi è molto comodo ma inaridente, insapore e pericolosamente usa e getta.

Siamo pieni di rifiuti e CO2 perché non diamo più valore a ciò che pensiamo personalmente, progettare cose a cui affezionarsi, che stimolano la percezione, la sensibilità, il pensiero pare pericolosissimo perché antieconomico, anti CO2, antirifiuti, e in sintesi anti “Santa Crescita”, per cui dobbiamo lobotomizzarci per adottare linguaggi non emozionali che vestono cose usa e getta. Questo è lo styling, oggetti che sorgono e tramontano velocemente perché fatti rinascere fuori dal proprio tempo, resi accattivanti da operazioni di “Kitsch Marketing” “spammato” dalla imperante comunicazione.

Dobbiamo sforzarci di riorientare lo sguardo, soffermarci a riflettere su ciò che vogliamo essere piuttosto che perderci pigramente in ciò che è apparentemente e momentaneamente più vantaggioso e meno faticoso. Questo è l’approccio alla mia esistenza, al mio lavoro, al progetto e al design (che sono la stessa cosa).”

A tuo avviso, dal rapporto tra arte contemporanea e design quali approcci emergono, quali ricerche o sperimentazioni inaspettate?

“Anche per l’arte, ormai quasi completamente assoggettata alla finanza e ai dettami del mercato vale la riflessione già riportata nelle altre risposte, vedo molto sfoggio di muscoli, gigantismo, pochissima indipendenza, la riproposizione del brand. Il rapporto tra arte e design storicamente ha prodotto dei risultati straordinari, l’arte e la letteratura hanno sempre svolto una funzione di guida ispiratrice per l’architettura e il design, hanno tradotto e sintetizzato in un linguaggio le stagioni dell’uomo, le epoche e i passaggi da un’epoca a un’altra, questa organicità, purtroppo, non riesco a trovarla nella contemporaneità sempre per le ragioni già descritte.”

In che modo si sta evolvendo, oggi, il settore del design e dell’arredo, vista anche la pandemia di Covid-19, che ci ha fatto riscoprire l’importanza della casa durante il lockdown?

Lampada DG Tacchinardi

 

“Questa è una domanda che può avere la solita risposta scontata, la gente è stata più in casa ecc. .. ha riscoperto ecc… fino ad arrivare al mantra della macabra speranza di poter tornare alla situazione di prima dalla quale è nata la situazione in cui ci troviamo ora, paradossale.

Confesso che sono molti anni ormai che raramente incontro un progetto nuovo che mi soddisfa, attraente, intelligente, su cui soffermarsi a ragionare per scoprire il percorso progettuale, le scelte fatte, mi sono stufato di vedere sempre più o meno le stesse cose, progetti in cui si interviene solo sulla pelle, in superficie. Lo sfoggio di muscoli degli allestimenti per presentare prodotti nati dal restyling, nati vecchi e spessissimo lussuosamente kitsch. Tutto questo è molto decadente, la maggior parte del settore è vittima del giogo economico, dello styling che insegue i linguaggi dei mercati più forti invece di proporre contenuti di ricerca personali e coerenti con l’epoca che stiamo vivendo. Ma il progetto che deve contenere una visione indipendente è sconveniente, non paga, il livello culturale del mercato si è appiattito, omologato, va per la maggiore il lusso kitsch fine a se stesso.

Per quanto riguarda la casa spero che le persone inizino a riflettere in modo indipendente su ciò che sta accadendo al nostro pianeta, la nostra vera casa comune, penso che ogni cosa, ogni nostra scelta debba essere pensata in relazione all’impatto che provoca per cui, soprattutto la casa con le sue funzioni può diventare il motore del cambiamento.

La pandemia ha messo in dubbio anche il modello di vita e di abitare che fino ad ora ha avuto una crescita esponenziale, la città.
Penso che le persone si siano rese conto che vivere in maniera accentrata, artificiale, senza spazi vitali e alternativi alla scatoletta/celletta condominiale cozza contro la nostra natura. Abbiamo visto persone che potendo scegliere si sono trasferite in luoghi con maggior contatto con la natura con più spazio sia per il corpo che per lo sguardo, parlo di paesaggio naturale, una componente della vita quotidiana importantissima.

Spero che l’uomo rifletta e torni a rapportarsi con il territorio bellissimo che è stato abbandonato negli ultimi secoli dell’era industriale, che si accorga che una vita senza paesaggio è innaturale, inaridisce lo spirito. Ritengo che sia questa l’importanza di riscoprire la casa la nostra vera casa cioè la natura.”

Che importanza ha il luogo, il contesto in cui inserisci i tuoi pezzi unici?

Installazione TRAVI Tacchinardi

“Lo spazio lo considero e lo leggo sempre come una “cornice” chiusa, l’opera nasce dalla relazione, più la relazione è stimolante, impegnativa, la qualità richiesta alta e la cornice intrigante, più il lavoro nasce facilmente, scaturisce di getto, naturalmente. Cerco sempre di collocare Il lavoro al centro della cornice, non cerco accostamenti di materiali, di colori o finiture, l’opera è autonoma, non dialoga direttamente, non cerco analogie, non cerco la continuità, è un elemento a se stante, concluso in se, autosufficiente, che sfrutta la cornice come un podio per emergere, non è ne in accordo ne in disaccordo, a volte in contrasto, ha un confine molto netto, si staglia con molta decisione nello spazio/cornice. Questo tipo di approccio con lo spazio/cornice non mi pone problemi relativi agli stili del contesto, lavoro in autonomia, più la cornice è caratterizzata più l’autonomia del lavoro si evidenzia e il lavoro emerge, risalta.”

Parlando di materiali, quale ritieni essere l’elemento predominante dei tuoi lavori?

“I materiali a cui sono più avvezzo sono i materiali naturali di recupero e non, principalmente il legno, i metalli non ferrosi e ferrosi, il vetro, la carta, la tela.”

Qual è la “cosa” più contemporanea, forte e promettente che si manifesta a tuo avviso sulla scena del design contemporaneo?

“Ritengo che la “cosa” più contemporanea, forte e promettente” sia la sfida che abbiamo di fronte a noi posta dai limiti dell’equilibrio del nostro pianeta. Progettare e fare scelte sempre più improntate alla riduzione dell’impronta ecologica avendo come obbiettivo la progettazione a impatto negativo.”

Una domanda che è anche un po’ una provocazione, esiste ancora uno stile italiano nel design?

Lampada Avvento

“Al momento c’è una perdita d’identità, inaridimento, omologazione ai mercati ecc. Nel profondo del mio cuore giace la speranza che la sensibilità unica Italiana riesca a risorgere vigorosamente risvegliata della enorme sfida ambientale che dobbiamo affrontare. I grandi vincoli, le grandi difficoltà hanno sempre generato delle eccezionali intuizioni progettuali che noi siamo sempre riusciti a interpretare con un linguaggio dalla raffinatezza unica e inconfondibile. L’Italia ha fatto un errore fatale, che stiamo scontando in maniera grave, abbiamo voltato le spalle alla formazione delle nuove generazioni, abbiamo sprecato e disperso una esperienza e una consuetudine al progetto che è nata in casa nostra.”