Cambio di destinazione d’uso: un errore può costare molto caro

Autore:
Raffaele Di Ciano
  • Laurea in Belle Arti
Tempo di lettura: 4 minuti

Nel cambio di destinazione d’uso anche le opere interne possono essere considerate un abuso, ed è bene fare attenzione agli interventi che si predispongono. A riaccendere il dibattito sul tema è una recente sentenza del Consiglio di Stato, che chiarisce un punto che molti sottovalutano ancora.

Cambio di destinazione d’uso: le opere interne come abuso
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Quando si parla di cambio di destinazione d’uso, si pensa immediatamente a grandi stravolgimenti e a ristrutturazioni importanti, che servono per trasformare un immobile, per esempio, da abitazione a ufficio o viceversa. Si fa l’errore, quasi sempre, di non considerare le opere interne come sufficientemente rilevanti per determinare il cambio di destinazione d’uso e si agisce, di conseguenza, trattandole come semplici ridistribuzioni degli spazi quando in realtà rappresentano elementi sufficienti al passaggio.

Su questo punto il Consiglio di Stato è intervenuto recentemente, con la sentenza n.9942 del 16 dicembre 2025, in un caso che riguardava un cambio di destinazione d’uso da abitazione ad ufficio, che però non era mai stato richiesto, e dell’ordine di demolizione che, secondo il proprietario, era eccessivo e doveva tramutarsi in una sanzione pecuniaria o in una SCIA in sanatoria. Ecco tutti i chiarimenti del Consiglio di Stato in proposito.

Cambio di destinazione d’uso

Cambio di destinazione d’uso: le opere interne come abuso
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Soprattutto dopo l’entrata in vigore del Decreto Salva Casa, si tende a pensare che la ridistribuzione degli spazi interni non si possa configurare come abuso, e che la natura abusiva riguardi esclusivamente gli aumenti volumetrici e la modifica sostanziale delle sagome.

Ebbene, non è così. Anche un intervento interno di modifica degli spazi può essere considerato un abuso, e andare incontro ad un ordine di demolizione, anche se non comporta un aumento di volume e se non modifica sostanzialmente la sagoma dell’edificio, ma rende stabile e permanente il cambio di funzionalità dell’immobile.

Si tratta, in questo caso, di un cambio di destinazione d’uso a tutti gli effetti, che però solitamente viene sottostimato e non considerato tale. Per il cambio di destinazione d’uso, infatti, è necessario richiedere un permesso di costruire, e una semplice SCIA non è sufficiente come titolo abilitativo. Proprio su un caso analogo si è espresso il 16 dicembre scorso il Consiglio di Stato, con la sentenza n.9942. In particolare, il Consiglio di Stato ha chiarito una volta per tutte che anche le opere interne possono costituire un abuso, e che non serve necessariamente apportare modifiche fisiche importanti per andare incontro alla demolizione.

La rilevanza delle opere interne

Cambio di destinazione d’uso: le opere interne come abuso
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Anche quando l’intervento si traduce in modifiche apparentemente limitate alla distribuzione interna degli spazi, infatti, ciò che risulta rilevante ai fini del cambio di destinazione d’uso (e alla determinazione dell’abuso) è l’esito finale dell’operazione: se questo comporta un insediamento stabile di una funzione appartenente ad una categoria funzionalmente autonoma, anche se non ci sono aumenti di volume o alterazioni strutturali, a sussistere è comunque la rilevanza urbanistica del mutamento.

In parole povere, quindi, un’abitazione adibita ad ufficio comporta un carico urbanistico maggiore rispetto all’uso residenziale, dato dal maggiore afflusso di persone e dalla diversa incidenza sui servizi. Pertanto, le opere interne di trasformazione degli spazi sono considerabili abuso se non supportate da un titolo abilitativo idoneo, e possono andare incontro ad un ordine di demolizione.

Tirando le somme, quindi:

Cambio di destinazione d’uso: foto e immagini