Fine degli affitti brevi? La grande retromarcia italiana
Non si può ancora parlare di una vera e propria fine degli affitti brevi in Italia, ma quello a cui si sta assistendo da qualche mese a questa parte è un’importante retromarcia. Dopo il clamoroso boom degli anni scorsi, gli affitti brevi iniziano infatti a diminuire, con una percentuale sempre più alta di pentiti, che tornano mesti alle locazioni tradizionali.
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Il boom degli affitti brevi in Italia ha causato parecchi disagi su più fronti. Dopo un periodo in cui questa tipologia di affitto non ha fatto che aumentare, soprattutto nelle grandi città e nelle località più turistiche, oggi siamo di fronte ad una marcia indietro massiccia. A dirlo è un recente report dell’Ufficio Studi di Tecnocasa, che ha osservato uno spostamento dell’interesse dei proprietari immobiliari dagli affitti brevi agli affitti a canone concordato. Si tratta, se vogliamo, di un ritorno alle locazioni classiche, ma che sfruttano i vantaggi di una politica di scoraggiamento nei confronti degli affitti brevi.
Tra agevolazioni fiscali per chi opta per una locazione classica e le nuove norme che finalmente sono arrivate a regolare gli affitti brevi, non sono pochi i proprietari che hanno deciso di ripensarci. In particolare, si nota un trend in questo senso a Milano, Roma e Napoli più che in altre città italiane. E si sa che in Italia, quello che succede a Roma e a Milano, prima o poi succederà anche altrove.
Il canone concordato è il nuovo trend

A far drizzare le antenne dell’Ufficio Studi di Tecnocasa è stata l’impennata degli affitti a canone concordato. In un mercato in cui fino a pochi anni fa questa tipologia contrattuale rappresentava un 5% scarso di preferenza, oggi nelle grandi città ha addirittura scalzato il contratto a canone libero. Infatti, a Roma i canoni concordati rappresentano il 65% delle locazioni totali, mentre a Napoli sono il 47,8%. A Milano i numeri non sono così alti, ma il trend è ormai avviato. Il motivo è semplicissimo: l’appeal fiscale è molto più interessante.
Con il canone concordato infatti, rispetto a quello libero, il proprietario di casa deve sì sottostare ad un range di prezzo massimo, ma può beneficiare di una cedolare secca al 10% (invece che al 21%) e avere anche uno sconto del 25% sull’Imu. Inoltre, non è da sottovalutare il fatto che il contratto a canone concordato ha una durata minima di 5 anni, e non di 8 come il contratto a canone libero. L’aumento di questa tipologia di affitto sta mettendo in difficoltà anche i tanto odiati affitti brevi: molti stanno facendo retromarcia e stanno tornando alla locazione standard.
Fine degli affitti brevi

Annunciare la fine degli affitti brevi è ancora prematuro, soprattutto considerando che in Italia il turismo è uno dei comparti dell’economia più forti, e che genera un indotto importante. Gli affitti brevi ci sono sempre stati, ci sono e ci saranno anche in futuro, ma grazie ad una coincidenza di diversi fattori, non saranno più un numero tale da soffocare il mercato delle locazioni e da mandare in tilt l’intero comparto. In particolare, a far cambiare idea ai proprietari sono diversi aspetti:
- i vantaggi fiscali dei contratti a canone concordato;
- il guadagno non troppo elevato delle locazioni brevi rispetto alle aspettative;
- le nuove regole di controllo degli affitti brevi;
- il successo è assicurato solamente per le case che si trovano nelle zone centrali.
Tutti questi fattori insieme, stanno portando molti proprietari a fare marcia indietro, soprattutto nelle città di Roma, Napoli e Milano, dove il canone concordato sta battendo sia il canone libero che gli affitti brevi. Che si sia finalmente davanti ad una svolta della crisi abitativa italiana?