Al Caffè Nazionale di Arzignano la storia si rivela come in un’opera teatrale
Il progetto del pluripremiato studio di architettura AMAA mette al centro il genius loci riportando alla luce gli elementi originali di un locale storico veneto dell’Ottocento.

Arzignano, in provincia di Vicenza, si trova nel cuore della Valle del Chiampo, in quello che viene chiamato il distretto veneto della concia. Situato in centro città, sotto il porticato dell’ottocentesco Palazzo Comunale – edificato nella seconda metà dell’Ottocento su progetto dell’architetto Antonio Caregaro Negrin – si trova lo storico Caffè Nazionale. Aperto dalle sette del mattino fino a mezzanotte, sette giorni su sette, propone menu trasversali, dalla colazione al dopocena. Un punto di ritrovo intorno al quale, nel tempo, si è costruita la comunità di Arzignano. Dopo un periodo di declino e abbandono, nel 2023 un bando del Comune ha aperto alla riqualificazione dell’immobile, che lo studio AMAA, fondato nel 2012 da Marcello Galiotto e Alessandra Rampazzo, ha recuperato con un intervento impegnativo e complesso.
Lo studio ha tre sedi – una a Venezia, una ad Arzignano e una a New York (una postazione ospitata dallo studio BIG) – e si impegna nella ricerca e nell’insegnamento. La loro visione attinge dalle esperienze formative con Massimo Carmassi e Sou Fujimoto, oltre che dai numerosi viaggi internazionali. Loro intento è la creazione di spazi che siano non solo funzionali ed esteticamente innovativi, ma anche capaci di generare nuove narrazioni e riflessioni sul tempo e sul luogo.
Il progetto di Caffè Nazionale è un’opera vivente che si impossessa dei materiali esistenti e delle loro storie per dare luogo a una nuova architettura
affermano gli architetti.
Lo scorrere del tempo, l’impronta della memoria

Il restyling, durato un anno e mezzo, affronta temi di ricerca cari allo studio, primo fra tutti la stratificazione della memoria nei luoghi. Gli interventi di restauro delle superfici decorate, ritrovate sotto aggiunte eseguite nei decenni, hanno voluto preservare gli elementi originali nella loro condizione attuale, con tutti i loro segni del tempo, con un aspetto imperfetto e non rifinito che riflette un’idea di trasparenza e di continua evoluzione.
Un primo delicato intervento ha permesso la liberazione dello spazio dalle superfetazioni e stratificazioni incongrue che nel corso dei decenni avevano occultato la materia storica. Si è trattato di un vero e proprio processo di scoperta che ha indirizzato i successivi momenti del progetto.
Analogamente, le nuove partizioni funzionali dei servizi e dei vani tecnici sono state lasciate volutamente a vista, per mostrare la tecnica costruttiva e le sue componenti, per mantenerne riconoscibile il processo di realizzazione.
Svelare gli ambienti una quinta per volta

Il progetto articola gli ambienti tramite una direttrice che attraversa tutto lo spazio. L’avvicendarsi degli ambienti, pensati come quinte teatrali che si rivelano a mano a mano che ci si inoltra all’interno, mantiene una continuità visiva tra piazza, porticato e sala interna. L’esterno, ovvero la piazza su cui affaccia, si integra dolcemente con l’interno grazie al porticato che ne anticipa l’ingresso. La sala principale, a sua volta, offre scorci sul giardino interno, concepito come il nucleo più intimo del locale, una sorta di patio in cui scoprire e godere dell’elemento naturale.
Trasparenze e passaggi per una pianta fluida

La porta d’ingresso al bar è l’unica apertura sulla piazza a non essere trasparente. Realizzata a bilico in ferro brunito, presenta una forma diamantata visibile su entrambi i lati. La maniglia è in marmo serpentino verde della Valmalenco, modellata su disegno dell’artista Nero/Alessandro Neretti.
A sinistra dell’ingresso, in posizione angolare all’inizio del porticato, è collocata la cucina a vista. Una scala tra il bar e la cucina conduce alla saletta ristorante allestita al piano superiore.
A destra dell’ingresso si accede alla stanza principale, che incorpora elementi di interventi storici precedenti. È qui che si rende evidente l’organizzazione dello spazio secondo quinte teatrali.

Le tracce storiche suggeriscono una profondità eterea che il progetto valorizza attraverso la disposizione di una parete, realizzata con fogli in lamiera inox piegata e forata, che ha la funzione di un sipario. Le trasparenze di questa parete, infatti, lasciano intuire senza svelare del tutto i grandi archi che si muovono verso la corte interna. Manifesti temporanei dell’artista Stefan Marx, applicati e illuminati dietro la quinta plissettata, completano la scenografia della sala.
Il mosaico policromo posato sul pavimento si contrappone al soffitto a cassettoni in legno multistrato, adatto a soddisfare le esigenze illuminotecniche e acustiche del locale.

Adiacente alla sala principale, dietro la parete in acciaio traforato, si trova un vestibolo: uno spazio di mediazione che collega l’interno del locale con la corte interna, un inaspettato giardino di betulle.
Arredi solidi e minimali

Il Caffè Nazionale è arredato con un sistema integrato di tavolini e panche in legno, disegnati da AMAA in collaborazione con Nero/Alessandro Neretti e studiati con mock-up in scala reale. Nella stanza principale, le sedute più interne sono abbinate a tavoli rettangolari, più ampi, mentre i tavolini piccoli e rotondi sono orientati verso la piazza e si estendono allo spazio esterno adiacente al bar.
Le sedute prendono ispirazione da quelle della metropolitana newyorkese e dallo stile monolitico e solido di Donald Judd, artista statunitense tra i più significativi del Novecento. Interessante è il contrasto fra la location intrisa di storia e le cinghie arancioni utilizzate per sostenere i cuscini delle sedute.