Ospiti Effimeri: Gli altri abitanti del progetto

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DOS
  • Strategic & Innovation Design
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Viviamo costantemente in contatto con un ambiente abitato da elementi che influenzano le nostre vite: gli altri esseri viventi, gli agenti atmosferici, gli elementi immateriali condizionano il modo in cui ci muoviamo e abitiamo gli spazi, ma non sempre vengono considerati fattori con e per cui progettare. Scopriamo, in questa seconda Visione, come invece tutti questi ospiti effimeri, questi altri abitanti possono essere parte di un’idea di progetto ampliata e sistemica.

Edoardo Tresoldi - Basilica di Siponto
Autore: Roberto Conte / Archdaily

C’è una foto scattata da Ettore Sottsass e contenuta nella serie delle “Metafore” che mi ha sempre affascinato più delle altre; si tratta di quella intitolata “Decorazione con Raggio di Sole”, scattata a Milano nel 1978, che ritrae una giovane donna sdraiata su un letto, con la schiena rivolta verso l’alto. Nello scatto il sole che entra nella stanza, filtrato dalle tapparelle socchiuse, e si mette in dialogo con il corpo nudo della ragazza. Quel vestito di luce e ombra racchiude l’essenza del progetto per ciò che dovrebbe essere, una relazione tra l’uomo e l’ambiente mediata non solo da componenti tangibili e concreti come l’arredo, ma anche da elementi effimeri, come la luce, il vento, la temperatura, gli odori.

Se infatti la nostra civiltà occidentale contemporanea ha assegnato alla dimensione visiva un predominio rispetto agli altri sensi, come afferma Juani Pallashmaa nel suo “Gli occhi della Pelle”, la nostra esperienza del mondo si basa sulla combinata integrazione dei sensi, mentre i manufatti vengono spesso pensati e realizzati, rendendoli gradevoli su carta o sullo schermo del computer ma deludenti una volta che entriamo in contatto con essi, di fatto impoverendo l’intera esperienza di relazione.

Le componenti soft del progetto

Clino Trini Castelli - Diagramma Dolce di Greta
Autore: Clino Trino Castelli / castellidesign.it

Di design relazionale, come abbiamo iniziato a parlarne in questa rubrica, se ne è occupato già Clino Trini Castelli riprendendo un tema del design degli interni molto forte negli anni ’70, che concepiva lo spazio e l’ambiente artificiale come matrice degli scambi relazionali tra il soggetto e il mondo che lo circonda. Il “Design Primario” poneva una forte enfasi sull’impatto percettivo di elementi “effimeri” quali variazioni di luce, eco del suono, mescolanza di colori e sensazioni tattili, che Castelli definisce “soft”, creando un’interfaccia emotivamente ricca tra la persona e l’ambiente artificiale. Questa focalizzazione sugli aspetti immateriali ha condotto a un superamento della progettazione d’interni basata sui principi classici dell’architettura, aggiungendo al dialogo gli sviluppi tecnologici nel frattempo intervenuti, i quali, oltre a confermare la sensorialità come centro di ogni considerazione estetica, resero ancora più attuali e attuabili le tecniche di indagine della realtà, allora identificate.

In termini di progettazione questo vuol dire ripensare totalmente il sistema estetico, liberandolo dai confini visivi ed estendendolo in termini olistici a tutta la sfera sensoriale, recuperando un valore neo-animista nella relazione tra uomo e ambiente, che si fa aumentato. L’estetica del progetto diventa quindi una faccenda che include sfumature termiche, auree olfattive, filigrane tattili, percorsi eolici, respiri microbici, un delicato e complesso paesaggio di ospiti che abita lo spazio insieme e senza l’essere umano, e dei quali esso stesso appare spesso inconsapevole.

Il Palais Stonborough progettato da Ludwig Wittgenstein per una delle sorelle è un organismo abitativo omeostatico. Con il “Diagramma Dolce di Gretl” Clino Trini Castelli, ne rappresenta il Salone come un paesaggio inedito, in cui i protagonisti sono l’irradiazione del riscaldamento a pannelli del pavimento, la vibrazione del colore delle superfici, la diffusione delle sorgenti luminose artificiali, il soffio del ricambio d’aria forzato sulla soglia delle due porte-finestre e la luce naturale che ne filtra, le onde sonore dei passi di un visitatore che si dirige verso l’appartamento di Greti e l’alone del suo profumo che filtra tra i battenti della porta d’acciaio, una pianta degli altri abitanti dello spazio.

La vita oltre l’uomo: Design Ecofilico

Durante il periodo di emergenza pandemica, la maggior parte dei musei del mondo sono rimasti chiusi, ma tra questi non il Nelson-Atkins Museum di Kansas City in Missouri che nel Maggio del 2020 ha organizzato uno speciale tour per un gruppo di pinguini di specie Humboldt. Julián Zugazagoitia, il direttore del museo, in un’intervista al Time ha dichiarato che gli animali, invece di soffermarsi di fronte a quadri di paesaggi naturali come quelli di Monet, andando contro le sue aspettative, hanno sostato a lungo davanti ai dipinti di Caravaggio, aggiungendo che non avesse idea di cosa sentissero o passasse loro per la mente, ma si fermavano, guardavano e si meravigliavano.

Credo che questo episodio rappresenti un’epifania rispetto al ruolo del progettista;  non parlo di bio-design che utilizza ad esempio funghi e microorganismi per costruire materiali, ma di una inclusività allargata, di un sistema ecologico di cui facciamo parte dalla nostra comparsa sulla terra ma che abbiamo assoggettato al nostro volere. Intraprendere uno stile di vita più sostenibile, che Ruyu Hung chiama “Ecophilia”, partendo dalla comprensione delle relazioni che il costruito antropico innesca nel mondo vegetale, animale e microbico e prevedendo una vita oltre-umana nei progetti, è la vera sfida che ogni designer dovrebbe accogliere nella contemporaneità.

La convivenza dell’umanità con gli altri esseri animali è senza dubbio antico e complesso. Se da un lato, infatti, presenze altre possono contribuire a diffondere malattie o distruggere i raccolti, ad esempio, dall’altro sono fondamentali per la nostra sopravvivenza sul pianeta Terra, in quanto molti di essi sono impollinatori e riciclatori, come gli insetti.

Bee Bricks - Green&Blue
Autore: green&blue/ArchDaily

Creare allora luoghi di nidificazione per api e uccelli nelle nostre città è importante per il mantenimento delle specie.

L’azienda green&blue, ha come mission il lavorare in questa direzione, e nel 2022 ha presentato un innovativo mattone da costruzione con una serie di fori al suo interno capaci di accogliere ed offrire una casa alle api solitarie che non vivono negli alveari.

Variations on a Bird Cage
Autore: Studio Ossidiana / civa.brussels

“Variations on a Bird Cage” di Studio Ossidiana, invece, è un’installazione in cui i materiali e le forme diventano la grammatica fisica della relazione, ripensando l’archetipo della gabbia, trasformandolo da spazio di confinamento ad oggetto di mediazione. L’obiettivo del progetto è spazializzare il rapporto tra corpi/specie attraverso un oggetto intermedio, traducendo le azioni del nutrire, giocare, avanzare, abbandonare, trasformare, distruggere, controllare, coltivare, addomesticare e ritirarsi, in una danza politica e corporea.

Human-bacteria interfaces (hbi)
Autore: Camille Blake / Hub for Biotechnology in the Built Environment

Human-bacteria interfaces (hbi) presenta un intrigante campo di ricerca che si focalizza su come la nostra interazione con i microbi possa aprire nuove strade per collaborare e coesistere in modo significativo con gli elementi non umani nel nostro ambiente costruito. In particolare, il progetto HBI consiste in interfacce tangibili e vive, composte da colture microbiche che reagiscono agli stimoli ambientali. Queste interazioni si manifestano attraverso segnali che possiamo percepire con il tatto, l’olfatto e la vista. Queste interfacce viventi sono immaginate come parte di una “intelligenza vivente ambientale” in quanto rispondono e interagiscono con il ritmo dei suoi abitanti umani e dell’ambiente circostante.

Un soffio vitale

L’atmosfera che ci circonda è fatta dell’aria che respiriamo e che ci consente di essere vivi. L’aria non è un ospite statico ma si si muove costantemente sotto le spinte del vento, del calore e del movimento degli altri esseri viventi. E l’aria, muovendosi, modifica anche le condizioni dello spazio, basti pensare a come cambia il paesaggio delle dune nei deserti, in base a come soffia il vento. Questo, lascia traccia del suo passaggio fuori e dentro di noi, è rete di informazioni,tessuto di scambio.

Shigeru Ban - Curtain Wall House
Autore: Shigeru Ban / Shigeru Ban Architects

L’aria può dare forma anche all’architettura se viene utilizzata come materia dalle mani e dalla mente di grandi progettisti. È quello che fa Shigeru Ban nel 1995 quando con il progetto della “Curtain Wall House” reinterpreta la facciata continua rendendola abito, libero di muoversi con il vento, gonna di Marilyn, dando vita all’architettura lasciando che l’aria possa accarezzare e sconvolgere la scatola architettonica.

Ci accorgiamo allora che l’aria ci parla costantemente quando si relaziona allo spazio, porta messaggi che possiamo codificare e contribuisce a rendere vivo anche ciò che solitamente appare inanimato.

L’esempio più lampante in questo senso sono forse le “Strandbeest” di Theo Jansen, ma anche i Wind Frame di Tim Prentice, anche se, in termini di relazione tra uomo e spazio, è uno dei progetti dei Plastique Fantastique ad interessarmi di più.

Breathing Volume è un’esperienza che porta ad immergersi all’interno di diaframmi che cambiano costantemente il loro volume fisico, dando al visitatore l’impressione di essere in un organismo che respira.

Tracce osmiche

Gli odori sono presenze che, a differenza di molte altre, hanno la caratteristica di non riflettere, di non rimbalzare, ma di diffondersi, avviluppare, disperdersi ed essere assorbiti. È una caratteristica, questa, curiosamente singolare proprio perché si aggancia a strati della memoria, rendendo la componente osmica fortemente identitaria e riconoscibile poiché comunica informazioni, stimola sensazioni, ricordi ed emozioni e crea mappe mentali.

Nella storia del progetto dello spazio non mancano esempi eclatanti dell’uso sapiente della sfera olfattiva per esaltare o modificare la percezione dello spazio.

Senza andare a scomodare epoche passate come la Roma antica, dove l’acqua di rose profumava interi palazzi, in epoca recente diverse figure hanno dimostrato grande sensibilità nell’utilizzo di espedienti per includere l’olfatto nel processo progettuale.

Peter Zumthor - Swiss Pavilion - 2000
Autore: Roland Halbe / rolandhalbe.eu

Ad esempio Peter Zumthor, ritenendo che gli odori siano elementi che il linguaggio architettonico dovrebbe sempre includere, progetta il Padiglione Svizzero per l’Expo di Hannover del 2000 come un grande magazzino di 45000 assi di legno non stagionato a cielo aperto. Gli agenti atmosferici sono liberi di dialogare con lo spazio andando a modificare via via l’espressività del materiale, rilasciando nell’aria un caratteristico odore resinoso e comunicando una cultura, quella svizzaera,  attraverso un materiale tipico.

Clino Trini Castelli - Osmic Gate, 1990
Autore: Clino Trini Castelli / castellidesign.it

Un approccio simile lo aveva già avuto, anche in questo caso, Clino Trini Castelli che con “Osmic Gate” del 1990, progetta l’ingresso di un circolo di golf, caratterizzandolo con un camminamento realizzato in legno di pino norvegese trattato con creosoto, un materiale utilizzato come impregnante anti marcescente per le traversine dei binari, evocando l’aroma nostalgico tipico delle vecchie ferrovie.

Décosterd & Rahm, invece, con “Peinture placebo” del 2001 cercano di designare la destinazione d’uso di una stanza al di fuori di qualsiasi rappresentazione visiva o plastica.

GAT FOG Project - Martì Guixé, 2004
Autore: Inga Knölke / guixe.com

Pharma food (1999) di Martí Guixé è un sistema di alimentazione che avviene tramite la respirazione, ponendo l’attenzione sul fatto che noi ingeriamo costantemente microparticelle sospese nell’aria, come la polvere in casa nostra. L’idea alla base di questo lavoro è quella di convertire questo atto, ovvero l’ingestione di particelle, in una nuova forma di nutrimento. Questo lavoro ha posto le basi anche per un altro progetto di Guixé che lavora sul piano olfattivo, ovvero GAT Fog Project, un’idea allestitiva ed esperienziale che consiste nel nebulizzare Gin Tonic all’interno di uno spazio, inaugurato per la prima volta a CASCO, Utrecht, nel  settembre 2004.

La vita dell’acqua

L’acqua è l’elemento primordiale da cui proviene ogni forma di vita ed è uno di quegli abitanti dei nostri spazi che con maggiore forza impone la propria presenza, attraverso superfici riflettenti d’acqua o cascate di pioggia che bagnano e scandiscono attraverso il rumore delle gocce che impattano le superfici.

Quando si parla di acqua nello spazio la mente vola subito a Venezia, città che più di tutte si trova in uno stato di continua relazione tra ambiente solido e liquido e dove grandi progettisti hanno provato ad inserirsi nel dialogo tra i due.

 

Il più grande di tutti è stato forse Carlo Scarpa che con la ristrutturazione del Palazzo Querini Stampalia compie un gesto di grande raffinatezza e spessore. Mentre la maggior parte dei colleghi venuti prima e soprattutto dopo di lui hanno interagito con l’acqua cercando di bloccarla, lui la accoglie in modo osmotico rendendo i cancelli permeabili.

L’acqua fa parte delle nostre vite anche sotto forma di pioggia ed è in questa veste che in ambito progettuale si possono rintracciare alcuni interventi rilevanti per la discussione.

Funnel Wall - Dresda
Autore: Karin M / Flickr

A Dresda, nella Germania centro orientale, c’è un palazzo dalla facciata di un caratteristico azzurro. Ma il colore del rivestimento non è la vera caratteristica peculiare; a seguito della Seconda Guerra Mondiale la città è stata interessata da un progetto di risanamento che puntava ad utilizzare l’arte e la cultura come motori di ripartenza, portando la scultrice Anette Paul e i due designer Cristopher Rossner e Andre Tempel a realizzare un intreccio di grondaie che, incanalando l’acqua piovana, producono una melodia ritmica.

La pioggia è anche uno strumento per lavare via, per rivelare. Così il cemento “Solid Poetry”, progettato da Susanne Happle e Frederik Molenschot di Droog Design in collaborazione con la Terratorium rivela dei pattern grafici a contatto con acqua. Il prodotto fa parte di quelli che vengono definiti smart materials, ovvero materiali in grado cambiare la propria struttura, composizione, forma o funzione a seconda degli input esterni.

Rain Tiles
Autore: Tredje Natur / tredjenatur.dk

Nello scenario contemporaneo di grandi cambiamenti climatici, poi, la pioggia è spesso il vettore di eventi catastrofici a cui l’essere umano deve essere in grado di adattarsi. Il Climate Tile è alla base di un nuovo tipo di soluzioni climatiche innovative per le città dense. La soluzione utilizza i cambiamenti climatici in maniera positiva per lo sviluppo di città più solide, ricche di eventi e sostenibili. Le piastrelle presentano dei micro fori capaci di raccogliere l’acqua della pioggia ed incanalarla nelle infrastrutture idriche della città.

De Urbanisten - Watersquare Benthemplein, 2012
Autore: De Urbanisten / urbanisten.nl

In ultimo, l’acqua della pioggia che cade scava e riempie, e questa caratteristica viene sfruttata nel progetto “Watersquare Benthemplein” di De Urbanisten che concepiscono uno spazio pubblico che è allo stesso tempo una infrastruttura per la raccolta dell’acqua piovana. La piazza fa parte di una strategia per aumentare la resilienza al clima attraverso misure di adattamento. Quando asciutta, la piazza è utilizzata come spazio ricreativo, un luogo dinamico per i giovani, con ampi spazi per giocare e sostare, mentre, quando piove, tre bacini raccolgono l’acqua piovana: due bacini non profondi per le immediate vicinanze ricevono l’acqua ogni volta che piove, un bacino più profondo riceve l’acqua solo quando continua a piovere. L’acqua piovana che cade sulla piazza passa attraverso grandi grondaie in acciaio inox e finisce nei bacini cambiando la morfologia della piazza stessa.

Alla luce del sole

Olafur Eliasson - The Weather Project
Autore: Andrew Dunkley & Marcus Leith / Tate Photography

Il sole illumina le nostre giornate e ne scandisce il ritmo. È un ospite talmente importante che qualcuno, come Olafur Eliasson, ha provato anche a trattenerlo nello spazio interno con l’installazione “The Weather Project”, realizzata nel 2003 presso la Turbine Hall della Tate Modern. L’opera artistica mirava a riprodurre un sole invernale al tramonto, simile a quello di Londra, utilizzando uno schermo semicircolare illuminato da 200 lampade a basso contenuto di sodio, che limitavano la percezione dei colori a nero e giallo, trasformando i visitatori in silhouette scure su un intenso campo luminoso. Un soffitto specchiato, alto 25 metri e composto da 300 pannelli, estendeva lo spazio visivo fino a quasi 4.000 metri quadrati, mentre una sottile nebbia aumentava l’illusione di uno spazio infinito, richiamando la nebbia londinese. Questa configurazione provocava un effetto di smarrimento visivo, con lo specchio che raddoppiava lo spazio già vasto, creando un’esperienza unica per lo spettatore.

Eliasson è un artista e progettista della luce e della natura e già nel 1997 con “Room for one colour” prova a ragionare sugli effetti della luce sulla percezione dell’uomo. Nell’opera, Le luci a monofrequenza montate sul soffitto di una stanza bianca emettono una gamma ristretta di luce gialla, riducendo la percezione dei colori dei visitatori a sfumature di giallo e nero. Più a lungo i visitatori rimangono nello spazio, più iniziano a percepire sottili distinzioni di colore e a correggere l’illuminazione giallastra. Quando escono, percepiscono momentaneamente un’immagine posticcia bluastra.

Il Sole porta con sé un altro elemento, indissolubilmente legato ad esso. Quando i raggi di luce naturale incontrano un corpo, producono ombra, un altro ospite che condiziona gli spazi rendendoli rinfrerscati e misteriosi.
Ma l’ombra può essere anche materia comunicativa e lo è sicuramente per l’artista e progettista Pierre Brault che con la sue “Installazioni Solari” comunica messaggi dinamici ma in maniera analogica, sfruttando appunto il moto della Terra rispetto al Sole.

La Persistenza della memoria

Quando entriamo in relazione con uno spazio o un oggetto esiste una dimensione palpabile anche se immateriale, è la memoria che quello spazio o quell’oggetto conserva, è il racconto di quanto è stato vissuto prima del nostro passaggio e che contribuiamo a costruire e ad alimentare.

La dimensione della memoria è l’ultimo ospite di questo viaggio, quello dalla presenza più pesante. I luoghi hanno ricordi, come ci suggerisce Hillman nel suo “L’anima dei luoghi” ed è una delle componenti che ogni progettista dovrebbe avere in mente quando si relaziona con uno spazio.

Claudio Parmiggiani - SILENZIO A VOZ ALTA
Claudio Parmiggiani / Museo Nacional De Bellas Artes – La Habana

Claudio Parmiggiani, con le sue “Decorazioni” rende visibile questo tema rimuovendo mobili e quadri e scoprendo così le orme lasciate dal tempo.

Edoardo Tresoldi - Basilica di Siponto
Autore: Roberto Conte / Archdaily

Anche Edoardo Tresoldi con le sue opere architettoniche rende spesso tangibile anche se in maniera eterea e diafana la persistenza della memoria, come ad esempio nella sua realizzazione forse più famosa, la ricostruzione della Basilica di Siponto.

Herzog & de Meuron con Ai Weiwei - Serpentine Gallery Pavilion, 2012
Autore: Luke Hayes / Serpentine Gallery

Un ultimo approccio che mi viene in mente è quello adoperato da Herzog & de Meuron con Ai Weiwei per il loro progetto del Padiglione della Serpentine Gallery nel 2012. Per realizzare il progetto, recuperano le piante dei padiglioni delle edizioni precedenti e li sovrappongono come in una esplorazione speleologica, così, una stratificazione di layer dà vita alla loro edizione, uno spazio ipogeo.

Come progettisti abbiamo il dovere di imparare a progettare in maniera più responsabile, con un approccio ecosistemico, cambiando approcci e punti di vista, cercando di non lavorare come Archistar, ma piuttosto come Anarchistar, capaci di coinvolgere nel processo progettuale non solo l’essere umano, ma pensando al benessere di tutti gli ospiti degli spazi che lasciamo.

Dobbiamo imparare a progettare per la luce, il vento, la temperatura, gli odori, i microrganismi, che abitano la Terra da molto prima di noi, sono loro i padroni delle nostre piazze, delle nostre case, mentre noi, velocemente, abitiamo e passiamo, perché i veri ospiti effimeri siamo noi.

di Emilio Lonardo

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D.O.S. Design Open Spaces è una startup italiana nata nel 2021 a Milano. L'azienda si occupa di design e tecnologie immersive come la Realtà Aumentata, con l'obiettivo di creare esperienze e prodotti fisici e digitali innovativi che integrino il mondo online e offline.